IL BORSCH DI BORIS

8 gennaio 1992. Il Presidente Cossiga invita a Palazzo il suo "sosia" di Crème Caramel, mentre sono ospiti di stato al Quirinale il Presidente russo Eltsin e signora.

L’uso politico del sosia nelle corti europee fu reintrodotto, dopo secoli, verso la fine del mandato del Presidente Francesco Cossiga. Come molti hanno letto, il sosia è l’attore Manlio Dovì, imitatore del Presidente nel varietà televisivo Crème Caramel. Il signor Dovì si è esibito davanti al Presidente e alla Corte, poi a fianco di Cossiga ha ricevuto i ministri della Polizia e dell’esercito. Tutto ciò testimonia il senso dell’umorismo e dell’autoironia del Presidente, ma può indurre a qualche perplessità. Per esempio, chi ha pronunciato il "Messaggio dei Tre minuti" di Capodanno: il Presidente o il Sosia? E chi dei due ha invitato il neo-collega Boris Nicolaevic Eltsin e la signora Anastasia a trascorrere la notte al Quirinale? Tant’è che si racconta che quella notte al Quirinale fu agitatissima e che, addirittura, prima dell’alba Eltsin era dato per scomparso. Lo Zar s’era destato all’improvviso, perché aveva cenato troppo leggero. "Che sono", aveva detto alla moglie con voce da Rossi-Lemeni, "quelle sfogliatine, quei brodini di tartaruga che ci offrono nei pranzi ufficiali delle corti d’Occidente? E’ mangiare, quello?". La signora Anastasia, che sa come tenerlo calmo in tali frangenti, rispose: "Da, cuoricino mio. La tua Nania va ora a prepararti una frittatina di quattro uova, lardo e cipolle". "Che razza di paese", brontolò Boris, "dove non c’è un cuoco pronto a scaldarti un borsch, oh Dio, un buon borsch bollente, coi cavoli e la panna acida e un bel pezzo di manzo in fondo alla scodella, come usa fra i veri credenti e non fra questi eretici cattolici romani!". Eltsin immaginava la zuppiera fumante sul comodino rococò e stava diventando intrattabile. "Dammi un bicchiere di vodka", supplicò la moglie, "ché almeno quella a Roma si trova, non come a Mosca, dove quel demente di Gorbaciov l’aveva proibita, unico decreto uscito dalla sua maledetta penna durante tutta la perestrojka!". Nania si era alzata e girando intorno al grande letto stile impero con baldacchino arrivò al secretaire sul quale troneggiava in un cestello d’argento una bottiglia di Moskovskaia ghiacciata, personale premura del Presidente Cossiga, e versò la vodka in un artistico calice smaltato. Poi uscì sul corridoio decorato dal Pannini, specialista in paesaggi di rovine romane. "Rovine, rovine", borbottava, "ne ho viste abbastanza di rovine. Ora che abbiamo sfrattato Raissa dal Cremlino e dalla dacia e ci abiterò col mio amato Boris, mi circonderò soltanto d’icone d’oro e d’argento". Nella penombra inciampò sui piedi del Manlio Dovì, che dormiva su una poltrona Luigi XV. "Lei qui, Presidente, che paura", esclamò Nania.

"Sorveglio sempre il sonno dei miei illustri ospiti", rispose pronto il falso Cossiga, "piuttosto dove va lei così scalza e, mi perdoni, discinta?". Nania gli rivelò che stava cercando la cucina. "Ma che mai!" disse Dovì, autoritario. "Corazziere, cercami un cuoco, immantinente". "A quest’ora?" obiettò il corazziere. "Le cucine sono spente e i cuochi sono a letto". "Che?", s’arrabbiò il Sosia. "E se il vostro Presidente ha bisogno di una camomilla? E se ha un ospite (come in questo caso) con il languore? Marcia via e torna con un rispettabile cuoco". Quando lo Chef del Quirinale ciondolando arrivò (non riusciva a tenere aperti gli occhi). Nania gli ordinò: "Per piacere, il mio Boris vuole una zuppa di borsch". "De che?" fece il cuoco. "Che d’è? Nun ce n’avemo. A quest’ora giusto un brodino di dadi co’ la sciampagna". Si udì un urlo belluino di là dalla parete: "Voglio il borsch!" urlava Eltsin, "con sopra una buona cucchiaiata di panna acida! Il booorsch!" "A sor Zare!" gridò lo Chef con le mani a megafono. "Qui nun ci avemo né li broccoli né la panna acida, annateveli a comprà a li mercati generali che mo’ aprono". Boris Nicolaevic uscì sul corridoio, in ciabatte e fortemente ingrugnato. "Non posso dormire a stomaco vuoto!" gridò. "Domattina, cioè stamattina, devo vedere l’avvocato Agnelli e Bettino Craxi, devo essere in forma come un toro da combattimento!". Il falso Cossiga prese una rapida decisione. Ordinò ai corazzieri di preparare due jeep e disse ad Eltsin: "Andiamo, l’accompagno ai Mercati Generali all’Ostiense". Eltsin s’infilò giacca e braghe blu sopra il pigiama e scese di corsa lo scalone, inseguito dal Sosia. I Mercati Generali stavano aprendo i cancelli. C’erano facchini, burini, camorristi, assegnatari della Bonifica Pontina e più mattinieri bottegai e osti di Roma. "Anvedi!" dicevano sgranando gli occhi e sgomitando l’un l’altro. "Anvedi er Presidente e lo Zare! Quanto so’ bbelli, le loro Maestà". Fu, finalmente, un vero bagno di folla, dopo le magre di Eltsin dei giorni precedenti. Chi offriva un Frascati, chi un cicchetto, chi un mezzo toscano, chi il caffè che s’era portato nel termos, chi una fetta di polenta fritta.

"Maestà, pozzicecavve!" gridava una vecchia ortolana di Borgo Piave. "Eccheve li cavolini de Brucselle e la cicorietta buona p’a zuppa, ve li regalo!". "E le cipolle", bramiva l’incontentabile Eltsin, "le cipolle bianche, dolci!". "Pijateve ‘a coda a la vaccinara, andrà bene puro pe’ ‘sto borsch, che sarà mai!", tagliò con la mannaja il macellaio. Quel che non c’era era la panna acida. "Provate co’ joggurte de la Centrale" suggerì il barista che stava aprendo il chiosco. "Ho li barattoli qui da un anno che non li vonno più manco li gatti!".

Eltsin e Dovì-Cossiga uscirono vittoriosi, tra gli applausi. "Dove c’è una trattoria per cucinare ‘sta roba?", domandò il Sosia a una piccola mandria di zoccole, che stavano scaldandosi le cosce su roghi di cassette e cartoni, in attesa dei camionisti. Finirono diritti al Testaccio, alla vecchia Trattoria del Mattatoio, che rimane l’ultima di Roma a fare il brodo per l’abbondanza di ossa, code e orecchie che gli scannatori rivendono per poche lire. Svegliarono il vecchio oste e il Presidente Corvo Bianco gli fece un rapido corso di borsch.

"Mortacci vostri, che zozzeria!" commentò l’oste quando finalmente porse ai due la zuppa bollente. "Zitto, somaro", gl’intimò il Sosia. "D’ora in poi sarai tu il solo e autentico "Borsch alla Eltsin", meglio di "Alfredo alla Scrofa il Re delle Fettuccine". Portami un foglio che ti scrivo un decreto presidenziale per il brevetto e ti nomino Cavaliere Ufficiale!". "Quasi come me!", rise Eltsin finalmente disteso. E comincò a svelare al falso Cossiga i segreti di Mosca: e dove teneva la cassetta del comando atomico e dove pensava di esiliare Gorbaciov ("una bella località sul Mare d’Aral, un po’ deserta") e come intendeva vendere Raissa schiava ai turcomanni.

"No", lo fermò il Sosia, "non sarebbe onesto da parte mia, continuare questa storia. Non sono Cossiga, sono il Sosia; a me interessa (per ora) solo Crème Caramel". Boris Nicolaievic fu colpito dalla rivelazione; per un attimo rimase con la ciotola sospesa e Manlio Dovì temette che il Gran Russo gliela rovesciasse sul capo. Poi questi assentì, gravemente, e disse: "Molto russa l’idea del sosia. Noi abbiamo avuto la storia del Falso Demetrio, come lei, pardon, Cossiga certamente sa. Ne abbiamo avuti quattro. Il primo, che forse era il vero Demetrio, figlio d’Ivan il Terribile, batté Boris Godunov, uccise il legittimo erede Fiodor e riuscì a farsi incoronare Zar prima di essere infilzato da un boiaro. Il secondo, il terzo e il quarto falsi Demetrio andarono rapidamente alla malora, uno sbudellato, l’altro strozzato e l’ultimo impiccato. Lei è fortunato d’essere il falso Cossiga. Probabilmente non l’impiccheranno mai, però non è detto, con i terroristi che avete in Italia. Ma per ringraziarla del borsch, le manderò due gorilla di Gorbaciov disoccupati; costano poco, solo il pasto".