IL GRANDE CACCIATORE

28 dicembre 1991. Esce una nuova, ennesima, legge sulla caccia.

Il "Grande Cacciatore" si tolse le scarpe ed entrò in camera da letto, alle tre del mattino. Dovendosi alzare alle quattro, non era nemmeno il caso di andare a dormire; era rimasto con gli amici a discutere dei grandi ammazzamenti che avrebbero fatto la mattina dopo, domenica all’apertura della caccia. Per non svegliare la moglie, aveva disposto tutt’intorno i pezzi del vestiario e li andava cercando a tastoni. Ovviamente inciampò e la moglie si svegliò. Le mogli hanno un udito canino, sentono anche quando dormono. Se le osservate nel sonno, muovono le orecchie come i cani da guardia; per questo non bisogna mai dire la verità alle donne, neanche di notte. "O grullo che tu se’", disse la moglie. "Anche quest’anno ricominci con le tue grullerie della caccia? Ora ti faccio il caffè, altrimenti tu mi butti già casa".

Il Grande Cacciatore si fece sulla porta alle quattro sparate. Era perfettamente vestito da cacciatore, sembrava uscito allora da una novella di Renato Fucini. Aprì il garage, estrasse l’Alfa 33 Sport Wagon e fischiò al cane che si chiamava Melampo, in onore di Pinocchio.

Melampo era un bellissimo esemplare di setter, vanto del suo padrone. Scambiò con l’uomo uno sguardo di compiacenza e disse (naturalmente dentro di sé): "Andiamo, mollaccione mio e speriamo che quando rientreremo stasera e tu sarai arrabbiato come un molosso, perché non avrai preso nulla, non mi pigli a calci e non mi neghi un osso".

Sulla piazza del paese, un fantastico paese della collina senese, con uno di quei nomi da favola, diciamo Montalcino o Monticchiello o Montepulciano, trovò gli amici davanti al bar ancora aperto e tutti partirono, con jeep, cani e fucili costosissimi col grilletto d’oro.

Era l’alba e il panorama era splendido. Diversamente dal "Grande Cacciatore" di Scorsese, il nostro non incontrava vietnamiti, ma pastori sardi che pascolavano pecore. Sulla cima d’ogni collina se ne vedeva uno, immobile come un nuraghe. Sembrava un film di Ford e il cacciatore si aspettava da un momento all’altro i segnali di fumo.

Le auto si dispersero per la campagna, perché ognuno conosceva un posto segreto, studiato nei giorni precedenti: i più esperti erano gli stradini della provincia e gli impiegati comunali. Il nostro s’infilò in una macchia, ai piedi del Castello di Brolio; chiuse la macchina e mollò Melampo.

In quel momento scoppiò un frastuono di fischietti, nacchere, padelle e trombette. Erano gli ecologisti maledetti, gli animalisti e gli "amici della natura". "Vigliaccone, assassino!" gridavano "nemico dei poveri animali!". "Ma quali animali" rispondeva lui "che qui c’è solo il mi’ Melampo, che me lo fate morir di paura!". "Viva i radicali, Italia Nostra e l’Arci-ambiente!", ribattevano. "Ma quale Arci, anch’io sono dell’Arci-caccia, ho persino la tessera del pds. Guardate che Quercia, altro che voi verdi!", cercava di difendersi. "Abbasso l’on. Rosini e gli armieri di Brescia, finanziatori e manutengoli del ministro Prandini", rispondevano i naturalisti.

Dopo un quarto d’ora i disturbatori passarono oltre, alla ricerca di altri cacciatori da strombettare. Più avanti, si sentivano i cani abbaiare furiosamente, grida e schioppettate. "Andatevene, casinari e pederasti che altro non siete, o vi spariamo nel sedere!", gridavano i cacciatori. "Omicidi, fuorilegge!" rispondevano gli altri. "Fuorilegge voi, che avete voluto il referendum e non avete avuto nemmeno il quorum!", sfottevano i cacciatori.

Quando il canaio si quietò, il Grande Cacciatore incitò Melampo. Il cane in corsa era bellissimo, anche se un tantino grassotto. Il cacciatore era contento: il pelo del cane riluceva come seta, le canne del fucile parevano bronzo antico. Melampo puntò, il cuore del cacciatore batté duecento colpi al minuto e dal cespuglio uscì… un gatto. Melampo gli corse dietro come un matto, anche se sapeva benissimo che non avrebbe dovuto farlo. "O bischero d’un Melampo", gridava il ciattore. "O dove l’è ito a cacciarsi, mangiapane a tradimento".

Volò un passero solitario, così solitario che pareva triste, disceso dalla torre antica del Castello di Brolio. Evidentemente i suffumigi del Chianti in ebollizione lo avevano stordito, perché non vide il cacciatore e andò a disporsi in bella vista su un fico, a dieci metri dalle canne del fucile.

Il nostro eroe gli sparò tre sventole corazzate che avrebbero spappolato un’aquila. Melampo era tornato in quell’istante dalla caccia al gatto e il padrone gli ordinò: "Dai Melampo, riporta!".

Il cane si precipitò sul luogo del delitto, ma del passero quasi nessuna traccia: una penna qua, una pennuzza là, era stato disintegrato. "E ora che gli riporto?", si domandava Melampo. Per fortuna trovò la coda, l’addentò delicatamente e la depose ai piedi del padrone. "Beh", si consolò il cacciatore. "In fin dei conti l’è il boccon del prete. Mangia tu, Melampo", desse generosamente. Il cane pensò "Che schifo!", ma scosse la coda in segno di ringraziamento e finse persino di leccarsi i baffi. A tanto arriva l’affetto di un cane per il padrone.

Cominciarono intorno a fioccare le fucilate, pallini piovevano da tutte le parti, i cacciatori si andavano radunando. Il nostro cacciatore, tra la stanchezza della camminata e la cecagna della notte, vedeva già doppio.

All’improvviso, si trovò davanti un fagiano, ma ne vide due e sparò giusto nel mezzo. Il povero fagiano era stato appena importato in treno dall’Ungheria e non sapeva orientarsi. Non sapeva neppure alzarsi e correva sulle zampe come un pollo. "Melampo, alza", ordinava il Grande Cacciatore. Melampo lo rincorreva, onestamente, come gli era stato insegnato, ma non riusciva a farlo volare. "Beh, lo prenderò con la bocca", pensò. Ma non fece in tempo. Si levò un fuoco di fucileria che pareva Stalingrado e il fagiano gli rotolò davanti al muso. "E fossi te il Marco Pannella! E fossi te il Fulco Pratesi!" urlavano i cacciatori improvvisando una specie di fantasia abissina intorno al cadavere. "L’ho preso io, no l’ho preso io, e Madonna qua e Madonna là", litigavano i cacciatori. Alla fine decisero di giocarselo a briscola scoperta, tanto ormai era mezzodì e avevano una fame nera. Con grande "camaraderie", i vincitori della briscola divisero con i vinti e tagliarono il povero fagiano, che già era piccolo, in quattro. "Meglio che niente", disse il nostro ricevendo la coscia destra. Si misero a sedere e cominciarono a trar fuori dalla cacciatora il pane casareccio (del supermercato), il formaggio pecorino di Pienza (fatto dai sardi) e il salame finocchione (di Modena). Il fiasco del Chianti era stato impagliato in Romania.

Sulla strada del ritorno, il "Grande Cacciatore" traversò una vigna, in cui stavano vendemmiando. "Scansafatiche, al lavoro!", lo salutarono i vignaiuoli. "Altro che passar per le vigne a rubar l’uva!". A tanto, dunque, era giunta la considerazione per la nobile arte della caccia.

"Zitti!" intimò il "Grande Cacciatore". "Per fortuna, c’è ancora l’art. 842 del Codice Civile, il diritto di transito sul fondo altrui!". "Si, ma qui c’è il cartello di divieto di caccia in terreni in coltivazione". "Ma quale caccia, che ho il fucile scarico". Per farlo vedere l’alzò e in quel momento partì un colpo che gli tranciò un orecchio. I vendemmiatori accorsero, lo sollevarono che grondava sangue. Una vendemmiatrice raccolse l’orecchio, ch’era finito su una vite. "Portatelo con lui, che glielo riattaccheranno all’ospedale di Siena!", disse. Gliel’avvolse in un giornale, mentre si udiva lontano l’ululato dell’autoambulanza che arrivava. La Misericordia si fermò sul viale, imbarcò il caduto, ancora tutto stordito; e il cane Melampo rimase sul campo, avvilito. "O il bel canino!" disse un vecchietto e cercò di prenderlo per il collare. Ma quello scappò e riuscì a tornare a casa da solo, dopo un mese di girovagare per le campagne, come Lassie.