CHI ERA TEODORO

 

All’alba del 12 marzo 1736 si ancorò nella baia di Aleria un ben portante"vascello" da guerra, che non innalzava bandiera, ma al- l’apparenza inequivocabilmente inglese, affiancato da due feluche moresche, di linea piratesca. Le navi sostarono silenziose e tranquille, come in attesa, a poca distanza dalla riva. Dal vascello fu calato un piccolo tender, con un paio d’uomini a bordo; arrivò a riva, poi verso il pomeriggio ritornò alla nave-madre.

Solo allora la nave accostò e fu calata una scialuppa. E solo quando la barca giunse verso la spiaggia, gli astanti che nel frattempo s’ erano radunati, scorsero, rizzatosi in piedi, un imponente personaggio,vestito alla turchesca, con turbante, monili, scimitarra. Lo seguirono poi su altre barche, ufficiali, guardie, scrivani e schiavi, carichi di armi, arredi, vettovaglie e perfino scarpe per gli scalzi guerrieri indipendentisti corsi.

Dalle navi vennero poi sbarcati, con attenzione e poco per volta in diversi viaggi, quattro cannoncini, due di bronzo e due di ghisa, praticamente spingarde, 3000 fucili e una cassaforte non a caso semiaperta, straripante e luccicante di zecchini, ghinee e genovini ;un ragguardevole tesoro, o almeno così parve agli occhi dei poveri isolani che non avevano mai veduto prima nulla del genere.

Il misterioso capo era di statura congrua e di bell’aspetto, marziale e insieme gentile, con rispettabili mustacchi tendenti al biondo; e sebbene fosse vestito all’orientale si rivelava a prima vista un gentiluomo europeo.

Gli uomini del seguito erano il capitano inglese Dick ( impossibile rintracciarne il nome ) comandante del vascello, due italiani di Livorno, alcunii tunisini e alcuni schiavi mori, tra i quali il cuoco e cameriere personale del capo:un insieme variopinto, dal piglio piratesco. Un nucleo d’uomini che non avrà molta fortuna, a cominciare dal comandante Dick.

Fu questo il suo ultimo viaggio felice: al ritorno si fermò a Smirne e là Dick fu raggiunto da emissari della marina inglese che l’arrestarono, non si sa per quale delitto e poco dopo lo impiccarono, proprio all’albero maestro della sua nave. E’ impossibile dire se la sua condanna a morte evidentemente ordinata dal governo, aveva qualche connessione con la spedizione in Corsica.

Sulla spiaggia, o meglio sul piccolo e incerto molo di pietra, attendevano numerosi notabili corsi, esponenti della sempiterna ribellione corsa contro la Repubblica di Genova, la più odiata potenza coloniale tra quante (tante) ne avevano conosciuto i corsi in duemila anni di preistoria e storia. Quando lo straniero prese terra, applaudirono al grido di" Viva il Re, Dio salvi il Re di Corsica!"

Lo straniero era Teodoro Stefano, Barone di Neuhoff; e loro stessi, i nobili di Corsica, l’avevano chiamato ad aiutarli e a prenderne la testa.

Alcuni di questi capi conoscevano Teodoro, anche fisicamente, lo avevano incontrato e gli avevano parlato più volte. Altri non l’avevano mai visto e altri ancora non erano del tutto sicuri di chi fosse. Nelle settimane precedenti lo sbarco, molte, diverse e strane voci avevano circondato il personaggio, lo avevano avvolto in un alone di mistero. Chi diceva che fosse il Barone Ripperda, fuggito dalla Spagna; chi, il principe Rakoczy di Transilvania; chi per un agente inglese, ben fornito di sterline dal governo; e chi addirittura lo dava per un cugino del Bej di Tunisi .Teodoro stesso aveva interesse a diffondere queste dicerie, per nascondersi nella nebbia fino all’arrivo. E del resto tutto era rimasto fino ad allora, piuttosto precario e misterioso.

Infatti, quando il vascello si era fermato, Teodoro aveva inviato ai congiurati un’ultima missiva. tramite un suo ufficiale, certo Pinzani, che sbarcato e accolto da un guerrigliero con un cavallo pronto e sellato, era volato al vicino villaggio di Matra.

Qui erano convenuti alcuni capi nella casa di Saverio, il possidente e patriota del luogo. C’erano Luigi Giafferi, Sebastiano Costa, l’abate Albertini, Marcantonio Giappiconi e più tardi giunsero i due Paoli, Giacinto e il figlio Clemente, Arrighi e altri. La lettera era indirizzata a Luigi Giafferi, che l’aprì e nel generale silenzio la lesse.

" Illustrissimo signor Giafferi. Sto infine per raggiungere le rive della Corsica, chiamato dalle vostre preghiere. A ciò mi hanno spinto il costante amore e la fedeltà che mi avete testimoniato in questi due anni. Sono qui per aiutarvi a liberare la Corsica dal giogo dei genovesi... Venite a ricevermi ad Aleria, voi, Costa, Paoli e gli altri amici... Vostro Teodoro, Barone di Neuhoff." Questa lettera è ricopiata nel Giornale, o Diario, di Sebastiano Costa, biografo di Teo- doro e cronista della sua guerra.

Sulla spiaggia di Aleria, si unirono infine Ciaccaldi, don Ajelli, Raffaelli. Tutti erano presenti quel giorno ad Aleria, antica capitale dell’Isola, ora in rovina.

Era Aleria una città di storia e d’archeologia. Era stata la città di Silla, come Mariana era stata la città di Mario. La positura di Aleria era eccezionale , appena sovrastante il mare; ma Gregorovius, che la visitò in pieno ‘800, la trovò "tremendamente triste". Era costeggiata dal fiume Trevignano, che l’aveva, col suo delta, allontanata dal mare ; e il delta, col tempo l’aveva circondata di nebbia e di malaria. Del resto, l’intera Corsica , da secoli declinante sotto l’imperio genovese, dava allora questa sensazione di bellezza intrisa di tristezza. Quando Teodoro vi sbarcò, l’Isola contava in tutto 125 mila abitanti, con tra loro vasti spazi inabitati e impervie montagne che la dividevano ( la dividono ) in due regioni, la cismontana e la trasmontana.