LA DITTATURA DEI RAGIONIERI

1 aprile 1992. Si avanza l’ipotesi di formare un governo di "tecnici".

Il 18 aprile 1992, dopo notti insonni di riflessione, il Presidente della Repubblica chiamò al telefono il Ragioniere generale dello Stato, cavaliere di Gran croce prof. Dott. Monorchio Andrea.

"Venga a trovarmi", disse. "Venga a prendere un caffè al Quirinale". "E’ stato un onore", rispose sorpreso il Ragioniere generale dello Stato. "E’ un piacere", aggiunse. "Beh, questo aspetti a dirlo", ridacchiò il Presidente.

Quando il Ragioniere si fu precipitato nel suo studio (dopotutto il Quirinale non è distante dal Ministero del tesoro, anzi si stendono ambedue sulla lunghissima e rettilinea via Settembre) il Presidente si fece portare i due caffè e cominciò il discorso: "Sono arrivato alla determinazione di incaricare lei della formazione del nuovo governo". "Me?", esclamò sbalordito il Ragioniere. "Mi faccia finire", continuò il Presidente. "Ho riflettuto a lungo. Dopo il tragico esito delle elezioni del 5 e 6 aprile non sono più in grado di chiamare un uomo politico. Non c’è più una maggioranza possibile e la cassa dello Stato, come lei ben sa, è desolatamente vuota. Bisognerebbe passare ai cosiddetti tecnici: ma chi sono e cosa sono i tecnici?".

"Tecnici di che?" continuò il Presidente. "Dicono: Cesare Romiti. Bravo, ma si è sempre occupato d’automobili e nient’altro, come Pininfarina, Carli è troppo anziano, Ciampi è meglio che stia a sorvegliare la Banca d’Italia, ha visto l’altro ieri che roba con quello sciopero, una volta o l’altra ci vuotano anche quella. Così ho pensato a lei. Visto che si deve passare ai tecnici e visto che il più grosso problema è la bancarotta dei conti dello Stato, non ci occorre un tecnico qualsiasi, è meglio un ragioniere. Il ragioniere è una professione giustamente sottovalutata, a vantaggio dei cosiddetti economisti. Ma che sono gli economisti, se non dei ragionieri che si danno delle arie? E’ lo stesso paragone che corre fra gli architetti e gli ingegneri. L’architetto è un ingegnere che disegna un ponte, ma non lo sa costruire. Allora è meglio un ingegnere, che costa meno: e ugualmente, un ragioniere è meglio di un economista con la puzza sotto il naso".

"Se dev’essere un ragioniere – continuò il Presidente – chi meglio del Ragioniere generale dello Stato? Oltretutto, è lei che ha scoperto e reso pubblica la storia dei 32 mila miliardi di buco. E’ lei che ha detto in un’intervista al "Giornale", che negli ultimi sei mesi aveva dato parere negativo al 90 per cento delle leggi, ma che Parlamento e Governo se ne sono infischiati. Allora tocca a lei".

Monorchio rifletté e poi disse: "Posso provarci, ma devo mettere un paio di condizioni. Prima, che il Governo debba essere composto interamente da ragionieri scelti da me. Non ci deve essere né un politico, né un diplomatico, né un magistrato, né un militare. Il problema è quello di tagliare, a qualunque costo e senza nessun criterio politico o sociale, ma solo contabile. Seconda condizione. Sia pure temporanea, diciamo di due o tre anni massimo, ma dev’essere una dittatura: la dittatura dei ragionieri. Nel passato si è favoleggiato di dittatura degli scienziati o dei filosofi, ma niente del genere è mai riuscito. Una "Repubblica di Platone", ma dei ragionieri: più pitagorica che platonica; a dirla in breve, la dittatura dei numeri". Questa volta fu il Presidente a dover riflettere. "Già è duro far accettare ai politici il Governo dei ragionieri, la dittatura poi… Facciamo così. Le garanzie costituzionali sono sospese per un anno. Il Presidente della Repubblica rimane fermo (e prorogato) come entità politica suprema e di garanzia. Il Parlamento ora eletto si riunirà tra un anno e prenderà atto delle decisioni del "Governo dei Ragionieri". E questo passerà le consegne al Governo dei politici, se potrà costituirsi, se no si ritornerà alle elezioni".

Il ragionier Monorchio acconsentì, e uscì sulla loggia per la dichiarazione ai giornalisti. Aveva scritto la lista dei ministri, sotto la sorveglianza del Presidente, e la lesse. Si trattava di nomi pressoché sconosciuti, tratti dall’Ordine dei ragionieri e commercialisti; quasi tutti professionisti privati o dipendenti di aziende, qualcuno dirigente di amministrazione statale.

Il Governo si componeva di soli dieci ragionieri, perché Monorchio aveva soppresso alcuni ministeri, altri li aveva accorpati. Erano scomparsi, ad esempio, tutti i ministeri senza portafoglio; i ministeri finanziari erano stati raggruppati in un solo, i ministeri economici (Industria, Agricoltura, Commercio estero, Partecipazioni statali, Mezzogiorno, Turismo, Lavoro) furono pure riuniti. Allo stesso modo erano stati accorpati i dicasteri dei grandi servizi (Poste, Marina mercantile, Trasporti); la Pubblica Istruzione aveva riassorbito i Beni culturali e la Ricerca scientifica: si era salvata la Sanità, insieme alla Previdenza. Insomma, i ministeri erano rimasti dieci in tutto, compresi gli Esteri, l’Interno, la Difesa. Più il presidente del Consiglio, ragionier Monorchio.

Ma ancora più drastica fu la decimazione dei bilanci dei ministeri. Agli Esteri venne tolto lo stanziamento per gli aiuti al Terzo mondo e la cooperazione allo sviluppo. Alla Difesa vene tolto l’intero stanziamento per l’esercito di leva, coi rispettivi ufficiali e distretti, e lasciato l’esercito di professione; cioè alcune brigate di parà, alpini, carristi, guastatori, più i carabinieri. All’Interno venne tolto tutto ciò che non era pubblica sicurezza e prefetture, più i vigili del fuoco. Nemmeno la Camera e il Senato furono risparmiati. Furono loro proibiti nuovi acquisti d’immobili nel centro di Roma e il Dittatore propose il dimezzamento del numero dei deputati e senatori.

Il Dittatore ragionier Monorchio abolì le Ragioni, le Ussl, le Circoscrizioni, le Comunità montane e lasciò i Comuni e le Province. Infine, restaurò le giunte provinciali amministrative come organi di controllo della spesa locata, che essendo organi prefettizi non costavano praticamente nulla. In pratica, era un salto indietro di almeno cinquant’anni, ma il risparmio dello Stato fu immediato e drastico. Nel giro di un anno, il disavanzo fu ridotto da 160mila miliardi a centosessanta milioni e nel 1993 l’Italia si presentò alla Comunità europea con il bilancio non solo in pareggio ma con l’attivo di lire due.

Gli economisti italiani e stranieri e la stampa avevano previsto sacrifici sanguinosi che il popolo avrebbe dovuto fare a causa del taglio dei bilanci. Ma non fu così, anzi nessuno se ne accorse, perché fino alla legge finanziaria dell’anno precedente c’era stato un esubero del quaranta per cento delle uscite, fra sperperi, spese inutili, furti e tangenti.

Il Ragionier Monorchio Andrea conobbe un momento di gloria quando presentò il suo consuntivo alle Camere riunite. Ma fu solo un momento. Dopo la formazione del nuovo governo, venne arrestato e successivamente rinchiuso in una clinica psichiatrica, dove un mese dopo sbadatamente ingerì una tazza di caffè corretto alla stricnina.