LA FINE DI TEODORO

 

Teodoro di Neuhoff arrivò a Londra del Gennaio del 1749. Prese alloggio in un modesto appartamento di Grosvenor Square, sotto il nome di Barone Stein.

L’ambasciatrore genovese alla Corte di San Giacomo, Gastaldi, fu immediatamente avvertito della venuta dello scomodo esule. Si recò pertanto al Ministero degli Affari

Esteri e chiese udienza al Ministro, Lordo Bedford. Gastaldi si diffuse con insistenza sulla pericolosità dell’ospite, la cui presenza comprometteva le buone relazioni tra il

Regno Unito e la Repubblica Serenissima.

Lord Bedford lo ascoltò pazientemente ma alla fine rispose duro che: " Il Regno Unito non ha mai espulso nessun rifugiato in seguito alla richiesta di una governo straniero."

Teodoro fece il possibile per rendersi gradito a Londra, per non stuzzicare ombre e sospetti, per tentare di raggranellare qualche soldo alla fine di mantenersi. Era giunto a Londra finanziariamente stramato : dopo tante avventure e tante acrobazie finanziarie, dopo momenti di benessere (rari) e momenti di miseria (frequenti) , non gli era rimasto un quattrino.

Per qualche tempo riuscì nell’impresa. Riuscì a introdursi nel salotto di un ragguardevole residente svizzero, il Cavaliere Schaub e nella simpatia della signora Schaub . La coppia era al centro dell’ambiente internazionale di Londra, specialmente svizzeri, austriaci e tedeschi, residenti o di passaggio. Fu qui che rincontrò Horace Walpole , che lo introdusse in altri salotti eleganti o curiosi.

In quegli anni erano a Londra altri re e principi in disgrazia, esiliati o rifugiati; bianchi, neri e olivastri, europei, asiatici o africani, ma Teodoro era il decaduto di maggior successo, anche perché aveva più storie da raccontare e sapeva raccontarle. Le sue avventure, giovanili, d’amore e soprattutto di guerra, erano ascoltate benevolmente, anche se con qualche legittimo dubbio. La lontana mediterranea Corsica, contrada fuori mano che non entrava nel tour dei ricchi viaggiatori inglesi, era argomento attraente e Teodoro sapeva descriverla, anche perché l’amava.

Dalla frequentazione dei salotti, peraltro, non ricavò molto, se non qualche pranzo e qualche cena: più guadagnò vendendo le sue ultime cose, monete del suo Regno, acquarelli e disegni di vedute autografi, copie di lettere e documenti, magari apocrifi ristampati lì per lì; e soprattutto vendendo agli snob di Londra cavalierati del suo Ordine della Liberazione e titoli nobiliari del Regno di Corsica.

Naturalmente, i nobili londinesi non prendevano tutto ciò molto sul serio ed era diventato un crudele giuoco prendere in mezzo il povero Teodoro, con grandi discorsi, proposte palesemente impossibili, dissertazioni pseudopolitiche.

Teodoro affrontava tutto questo con molta dignità , pur rendendosi ben conto di essere preso a Gabbo: ma d’altronde non poteva reagire e doveva pur mangiare e stentatamente vestirsi. Wolpol lo appellava pomposamente con un " Sua Maestà" e così pure lo definivano gli altri sdalottieri o quantomeno lo chiamavano "Eccellenza".

Ma a poco a poco l’attenzione svaniva con l’attenuarsi della novità e conseguentemente la simpatia intorno a Teodoro di andava raf- freddando. Gli inviti nelle belle case si diradavano ed egli fu ridotto anche a fare lo sponsor pubblicitario davanti a negozi d’abbigliamento o d’argenteria: "l'uomo-Samdwich", con i cartelli, suonando la cam- panella e addirittura con una corona di strass.

In capo a due -tre anni, esaurita la curiosità dei salotti ed esaurite le sue ultime risorse, Teodoro si ritrovò con debiti per quattro, cinquecento strline, con obblighi e cambiali presso i fornitori e il sarto.

Venne quindi citato dal Tribunale e allora egli cercò rifugio presso l’ambasciatore d’Olanda , suo vecchio amico, che per qualche giorno l’ospitò. Ma il perfido Gastaldi che su ordine della Repubblica non aveva cessato di perseguitarlo in tutti i modi, con un trucco, una falsa lettera d’invito a recarsi al Ministero degli Esteri, lo indusse a uscire dall’ambasciata e sulla strada lo fece arrestare dai poliziotti che aveva preavvertito.

Teodoro fu ammanettato e tradotto al "Banco del Re", la famigerata prigione londinese dei debitori, romanzata e descritta più volte da Charles Dickens. Qui Teodoro godette di un breve risveglio di celebrità. L’amico Horace Walpole, che

con discutibile senso di humour si era non poco profittato di lui, finalmente intervenne in senso positivo in suo favore. Con lo pseudonimo di Fitz Adam (che tutti sapevano essere il suo ) pubblicò un paio di articoli sul "The Word", giornale allora di moda tra intellettuali e politici , raccontando la sua storia; addirittura mandò il celebre ritrattista e caricaturista Hogarth , famoso sui giornali dell’epoca , a fargli un ritrattino che venne pubblicato sul "The Word".

Walpole scrisse anche un appello , col titolo " Date obulum Belisario" , per raccogliere fondi affinchè il povero Teodoro potesse riscattarsi. Infine propose al celebre attore David Garrick di dare una recita di beneficenza , naturalmente "Re Lear". Garrick generosamente si prestò , la recita fu data, ma la serata non ebbe grande successo e alla fine, tra sottoscrizione e botteghino, Teodoro potè intascare non più di cinquanta sterline , non bastevoli per liberarlo.

Il poveretto si ridusse allora a farsi vedere come fenomeno da baraccone, solennemente sudto su una specie di trono , sotto uno straccio di baldacchino ; e chissà quante volte ebbe a ripensarsi e rivedersi nel giorno dell’Incoronazione in Corsica. Fu visitato perfino da una commissione di Deputati della Camera dei Comuni , che volle sincerarsi delle sue condizioni in carcere . Ma alla fine , furono John Carteret , il visconte ambasciatore , e Walpole che riuscirono a salvarlo dalle grinfie della dura Giustizia inglese . Ogni anno, infatti, il governo decretava la liberazione di tre coatti del Banco del Re , con il cosiddetto "Atto di insolvenza " , purchè si fossero pentiti e bene comportati in carcere.

Teodoro era in prigione da due anni e la seconda volta toccò a lui di entrare nella terna, dietro raccomandazione degli autorevoli amici. Convocato in Tribunale, il magistrato gli chiese se avesse almeno qualcosa da lasciare ai creditori in segno di buona volontà. Teodoro allora rispose che gli rimanevano i suoi diritti sul Regno di Corsica e il magistrato gli fece allora scrivere e firmare una dichiarazione, di rinuncia ai diritti suoi e degli eventuali eredi sulla Corsica, a beneficio dei creditori: anche in Tribunale trionfava allora il senso dell’u- morismo .

Liberato, Teodoro fece un gesto da gran signore:mandò a casa di Horace Walpole l’ultima cosa che aveva conservato ( e che aveva tenuta nascosta anche al magistrato): il sigillo del Regno di Corsica. Era di bronzo dorato, di poco valore intrinseco ma di grande valore morale, era il sigillo della sua vita . Re Teodoro uscì dalla prigione il 6 dicembre 1756. Aveva sessant’anni, che anche allora non erano poi tanti., non poteva dirsi vecchio; ma si sentiva finito, prostrato da un’esistenza terribile, svuotato dalle privazioni . Faceva freddo nel dicembre di Londra, come spesso avviene pioveva e non sapeva dove andare a dormire: quasi rimpiangeva la sua cella dove almeno poteva stendersi sulla paglia e magiare un tozzo di pane. I primi due giorni chiese inutilmente ospitalità e dormì un una nicchia sulla via. Finalmente su accolto dal più povero dei suoi creditori :il vecchio sarto, che l’ospitò perché non morisse sulla strada , nella sua casetta di Little Chappell, in Soho. Era l’11 dicembre 1956 , e quel giorno Teodoro morì. Un mercante d’olio di Compton Street si offerse per organizzare il funerale: "In fin dei conti" ,disse, "è un onore sotterrare un Re". Ed era un poco di pubblicità a buon mercato. In tutto, fra la bara, una coroncina, un po’ di panno nero e dorato, la spesa fu di dieci sterline e undici pence. Venne sepolto sotto il muro della parrocchia di Sant’Anna, in Wardour Street.

Quando fu avvertito della morte di Teodoro, Horace Walpole scrisse questa spiritosa missiva ad Horace Mann, che ancora era ambasciatore a Firenze : "Il vostro vecchio ospite reale, il Re Teodoro, se ne è andato a quell’indirizzo, dove, si dice, i Re e i mendicanti sono uguali. Egli del resto per saperlo non aveva bisogno di far questo viaggio, perché da Re era diventato un mendicante". Walpole dettò quindi l’epigrafe delle lapide che fu posta sul muro della chiesa, dove potè esser letta fino al 1943, quando venne distrutta da una bomba tedesca, insieme alla chiesa stessa: 

Near this place is interred

THEODOR KING OF CORSICA

who died in this parish December 11 1756

immediately after leaving the King’s Bench Prison

by the benefit of the Act of Insolvency

in consequence of which he registred

his Kingdom of Corsica

for the use of his creditors

Bestowd a Kingdom and denied him bread

"Donò un Regno gli negarono un pane".

FINE