SUCCESSO E FALLIMENTO

DELL’UNITA’SOCIALISTA

 

Avanti! 27 gennaio 2004

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

C’è un vecchio libro (del 1965, Dio  mio, 40 anni fa !) che naturalmente io ho conservato ma  che immagino pressoché scomparso dalla circolazione. E’ edito da Mursia e curato da Luigi Preti e Italo De Feo. S’intitola : “Giuseppe saragat, 40 anni di lotta per la democrazia”, ma come spesso capita il titolo è ampolloso e generico.Molto più esplicativo e appropriato il sottotitolo: “Scritti e discorsi 1925 –1965”. E’ il compendio più denso e più utile per capire Saragat, perché non si tratta di una interpretazione e non è una biografia, anche se qualcosa del genere c’è nella prefazione:

è semplicemente una scelta e una ristampa dei principali scritti e discorsi del leader socialista. Più ancora che una scelta, è un testo unico e una “opera omnia”: perché nonostante i tantissimi anni di vita politica , Saragat non fu certo né pletorico né grafomane.

Anzi, a dir tutta la verità, Saragat aveva la pigrizia tipica dei grandi intellettuali, e dei profeti. Aveva detto e fatto al momento giusto , e basta: chi ha capito ha capito, inutile ripetersi. Questo spiega anche come, nonostante certi suoi spunti di vanità e di presunzione, non si sia mai dato  da fare per raccogliere le testimonianze, gli scritti, i ricordi della sua vita. E questo,appunto, è il massimo della presunzione: io ho deciso, poi giudicherà la storia. Non si curava molto né dei cronisti, né degli storici di partito e neanche ( iniziava ad usare) della televisione: cioè, si sentiva già consegnato alla Storia.

Frequentandolo sovente negli ultimi anni della sua vita(morì a quasi 90 anni nel 1988) molte volte ebbi a dirgli: “Ma come, non hai fotografie di questo o di quel congresso, quell’incontro , un appunto o un ritaglio di giornale di quel dibattito ?” Niente, non aveva più niente e in verità non gliene fregava più niente. Una volta gli proposi di ripubblicare il suo ( ex-famoso) libro: L’Humanisme Marxiste, scritto in Francia e metà dei 30. Nel suo grande studio della Camilluccia ne aveva solo una spiegazzata copia. Mi guardò con finta rassegnazione ( tutti i vecchi socialisti erano dei grandi attori, lui, Nenni, Pertini , Basso, Silone e compagnia cantante) e mi disse : “ Ma che vuoi ripubblicare. Chi le legge più quelle cose . I giovani non leggono più neanche Kant o Goethe, figurati se rileggono Saragat. A chi interessa più l’humanisme marxiste ? Tutta roba vecchia.” Era così: un idealista realistico. 

I suoi riferimenti erano De Gaulle e Churchill : gli altri sotto a quel livello gli interessavano poco. De Gaulle lo conosceva bene: lo aveva fronteggiato come Ambasciatore a Parigi dopo la Liberazione.Era riuscito a farsi ridare la grande Ambasciata d’ Italia a rue de Varenne, che la Francia voleva tenersi come bottino di guerra.

Saragat ci teneva alle cariche, ma nei momenti decisivi sapeva

tornare al combattimento. Così rinunciò alla presidenza della Costituente e all’Ambasciata per tornare nel crogiuolo incandescente del PSIUP,che era un piccolo  Inferno politico. (Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria , falce martello , libro e sole: la preistoria).

Al Congresso di Firenze del 46 , che vinse,  pronunciò quel che rimane forse il più bel discorso della sua vita. Saragat era un leader ma appunto alla De Gaulle ; non era un capo-partito. Era l’esatto contrario di Pietro Nenni , l’alter-ego della sua vita: che era un grande capopartito ( non soltanto un buon giornalista, come diceva Saragat) ma non un leader “profetico”, troppo legato alla “politique d’abord”. Già la formazione culturale dei due era diversa: francese quella di Nenni, tedesca quella di Saragat. 

Una volta ( proprio al tempo dell’ultima scissione) Saragat mi disse,nell’ombra del suo studio al Quirinale.“Che cosa è il partito ? Il partito è uno strumento per le tue idee. Sono le idee che contano, e la qualità degli uomini: il partito è una sigla, se non va si cambia.” Aveva ragione e io lo sapevo: ma ero ancora legato al cordone ombelicale della memoria, del Partito Casa, del Partito Padre ( Pietro Nenni ) ; anche se avevo tagliato da un bel pezzo con la Russia, coi comunisti , con l’ideologia e con la cosiddetta unità della classe. Sapevo tutto, ma non avevo ancora il coraggio di trarne fino in fondo le conseguenze: il difetto classico dei socialisti e specie di Nenni.  

Questa era la forza “profetica” di Saragat.Ma era anche il suo limite. Non trascinava gli uomini; non aveva la pazienza né l’enorme capacità di lavoro, tantomeno la simpatia umana , di Nenni. Non si preoccupò mai di costruire un gruppo dirigente. Eppure, alla scissione del 47 la parte migliore del gruppo parlamentare socialista ( allora era grosso) se ne andò con lui, intellettuali, economisti, scrittori di grande livello. Ma non seppe tenerli con sé, anzi non volle; li considerava ( e certamente lo erano ) dei rompicoglioni, degli sfasciacarrozze e perciò fu inevitabilmente circondato da adulatori e yesman. Intendiamoci: non ascoltava neanche questi,perché ascoltava soltanto se stesso, anzi “la voce della propria coscienza.” Era grande nelle questioni di principio;inesistente nell’amministrazione della cucina politica.

Mi diceva Alberto Simonini ( autentico riformista  reggiano e uomo di bello spirito) : “Saragat è un grande democratico , ha salvato la democrazia in Italia. Ma per la democrazia del partito, è

peggio di Mussolini.”

Nel libro che ho citato, c’è un suo raro e bell’articolo per la rivista “Socialismo democratico”. L’articolo s’intitola “L’unità socialista prima e dopo Pralognan. “ Come si comprende da quell’articolo, Saragat  col suo rigorismo ideologico e morale aveva messo noi autonomisti del PSI nell’imbarazzo, dopo che nel Congresso di Venezia del 1956 avevamo fatto uno sforzo incredibile per liberarci dall’oppressione comunista. E’ uno dei pochi contributi scritti di Saragat alla Unificazione Socialista.  Saragat e Nenni erano quelli che avevano rotto il partito nel 46,47,48 e solo loro potevano rimetterne insieme i cocci: sia chiaro però, che politicamente e ideologicamente fummo soprattutto noi giovani a costringerli a farla.

Forse sbagliammo perché la facemmo male: e cioè come ricongiungimento dei due appartamenti di proprietà di Nenni e di Saragat ,che si erano separati e ora volevano risposarsi. L’operazione fu grande sul piano teorico, ma non riuscì sul piano pratico. I due salotti si ricongiunsero e ne risultò un bel salone di rappresentanza;  ma le cucine e i bagni rimasero divisi e lontani , e anche le camere da letto risultarono sacrificate. I due apparati (specie quello meridionale del PSI, di De Martino e Mancini, ma anche quello della bottega elettorale del PSDI, al Nord ) rimasero diffidenti e ostili. E su queste ostilità e diffidenze, il Partito Comunista seppe lavorare da diabolica talpa stalinista, qual’era.  Era l’antica tecnica comunista ( e gesuitica) dell’anatema religioso ed era l’ anticipazione storica  degli sputi e delle monetine su Craxi all’Hotel Raphael, vent’anni dopo. 

L’unificazione, come ho detto, nacque male. Io ero nella commissione “ideologica”. Con Averardi, Pellicani e qualche altro, tentammo invano di far togliere dalla dichiarazione il richiamo all’ideologia marxista e all’unità della classe, che De Martino assolutamente volle, sine qua non.  Ma peggio nella commissione organizzativa, dove veramente si decideva. Lì si fece l’obbrobrio della “bicicletta” , i due simboli affiancati ( mi sembea tanto il“Triciclo” di cui si discute a sinistra oggigiorno );dei due segretari dal vertice alle sezioni. I “due presidenti “c’erano già automaticamente: Saragat Presidente della Repubblica e Nenni Presidente del Partito.

Non si ebbe insomma il coraggio di presentare una cosa nuova e moderna: del resto anche dopo ci vollero dieci anni a Craxi per far passare il Garofano come nuovo simbolo del PSI. E quando passò ricordo che c’era gente intelligente e colta come Tristano Codignola, che protestava disperato perché si abbandonava la “falce e martello“, simbolo del proletariato. Incredibile, un uomo che si riteneva (ed era) intellettualmente moderno e laico !  

Ma i lettori d’oggi non possono rendersi conto di cosa era la pesantezza del clima d’allora, ancora nel 1965-68 ; di cosa era il peso dell’URSS nella politica estera e del PCI nella politica interna.

C’era ancora Palmiro Togliatti,nemico giurato dell’unificazione socialdemocratica”: dal suo punto di vista, aveva anche ragione.  Sarebbe morto l’anno dopo, lasciando il posto a Luigi Longo (bravissimo, ma letteralmente cittadino sovietico) e al mio antico amico  Berlinguer. Il massimo del riformismo ammesso era quello di Giorgio Amendola (uomo di grande finezza intellettuale , peraltro) che era riformista in politica interna ma integralmente sovietico in politica estera. I comunisti erano fatti così.

La “relativa” sconfitta elettorale del 1968 segnò la fine dell’ esperimento. Il partito unificato PSI-PSDI si attendeva almeno il 20 per cento: cioè il 14-15 del PSI più il 5-6 del PSDI. Ma il risultato , un 15 per cento, poco più, diede ragione al saggio Fernando  Santi che aveva detto nel Comitato Centrale : “La  politica non è matematica: 2 più 2 non fa 4 , ma se va bene fa due e mezzo e se va male anche meno.”

Saragat e Nenni se l’erano spassata allegri in Inghilterra, uno Presidente della Repubblica e l’altro Ministro degli Esteri ,in vacanza come due vecchi ragazzi . Ci sono bellissime foto dell’epoca che li ritraggono in carrozza con Elisabetta e con la Regina Madre.

Quando la televisione diede i risultati delle elezioni del 68, Saragat  nello studio del Quirinale prese a calci il televisore , ( “ Il destino, cinico baro !”) incurante delle implorazioni di Malfatti. Malfatti, un  amico , era stato uno degli autori dell’unificazione, mediatore fra Saragat e Nenni; addetto diplomatico di Saragat poi ambasciatore a Parigi e Segretario generale della Farnesina. Insieme avevamo lavorato a persuadere Nenni a ritirarsi dalla contesa del Quirinale per lasciar posto a Saragat. Io avevo avuto il coraggio di dire a Nenni: “ Non stare a credere, non ce la puoi fare; i democristiani che contano da Fanfani a Moro, non hanno ancora digerito il tuo passato e al massimo accettano Saragat ( ed era assolutamente vero, avevo èarlato con loro). Se noi aiutiamo Saragat, avremo realizzato l’unificazione.” Così fu, con immenso dispiacere per Nenni,

che capiva, da politico, ma non accettava la sorte così benevola col suo fratello-nemico  e sempre così avara con lui. Per di più, i soliti adulatori gli avevano fatto credere che i “democristiani di sinistra” stavano arrivando per salvarlo, Donat Cattin in testa, figuriamoci.

Anche Nenni,come Saragat, finì a terra:un criminale voto nel Comitato Centrale dopo le elezioni del 68 lo mise in minoranza e il partito si spaccò come una mela , al solito esattamente in due: Nenni di qua ,Saragat di là. Con l’epopea del 68 ricominciò l’era della stupidità di sinistra, che in Italia non è mai morta. 

Bloccato da una colica renale, io ci rimasi in mezzo. E come sempre avviene in questi casi, fui catturato e  fucilato: come peraltro meritavo per la mia mancanza di risolutezza nel momento decisivo.Avrei dovuto saltare di là, perché sapevo bene che di qua gli agenti dei comunisti  non me  l’avrebbero perdonata.Ma la vecchia casa, il vecchio Nenni, i vecchi compagni, sapete com’è: non imbroccai a tempo l’ “uscita di sicurezza”.

Tra il tenero e lo sfottente, a casa sua Nenni mi disse: “Ma se continui a prendertela così, Cattani , ti buscherai un brutto male. “ 

Allora feci la solita previsione, azzeccata con troppo anticipo: 

“Fallita l’Unificazione Socialista , fallito il nostro centro-sinistra, si aprirà una fase di crisi istituzionale che durerà vent’anni. “ Ero ottimista: non si è ancora chiusa .   

 

 

VENERIO  

(www.veneriocattani.it)