LA SIESTA Esattamente
vent’anni dopo il Congresso di Reggio, un caldo pomeriggio Il
fedele maggiordomo, il maestro di casa, cav. Quinto Navarra, gli aveva appena
servito il “canarino” (scorza e goccia di limone nell’acqua bollente) perché il
Duce soffriva più che mai di acidità. In
un piacevole dormiveglia, riandava col pensiero ai tempi passati. Ma lei è contenta, lo sa che alla fine voglio bene solo a lei.” E gli
sfilarono davanti agli occhi della memoria, i compagni e le compagne del congresso 1912;
nostalgie di gioventù. La
prima che lo aveva lasciato era stata proprio lei, la piccola ardente Angelica
Balabanof.
L’aveva portata con sé all’Avanti! A Milano. Quel
mattino dell’ottobre 1914, quando lei aveva letto
l’articolo che lui aveva scritto di nascosto e stampato la notte, nel segreto della
tipografia, era allibita, poi era scattata furi-
bonda,
fuori di sé. “La
guerra, vigliacco, traditore, ma io ti denuncio alla direzione del partito,
ti faccio espellere !”; E
così fece. “Che
peccato”, disse a sé stesso Mussolini in
dormiveglia. “Quel giorno del 1914 scavò un
baratro tra di noi; tra Angelica, il mio solo maestro
politico, e il suo allievo, che doveva procedere verso il suo destino”. Benito
era retorico anche quando dormiva. Più tardi Angelica se n’era andata: con Lenin, in
Russia. Commissaria del popolo, era ritornata vincitrice a Kiev. Ma poi aveva litigato
anche con Lenin. “Troppa
dittatura, troppo sangue inutile”; ora era esule a New York. “New YorK!”, Benito sorrise. “Sarà seduta sulla punta d’un grattacielo!” L’aveva
sostituita, finalmente, nelle grazie del Capo, la bella Margherita Sarfatti. Era durata a
lungo, ma ora cominciava a stufarsi anche di lei: “Mi
è venuta voglia d’una mora!”, considerò Benito tra sé”. E’ un pezzo che non
ce n’ho”. Già,
ma prima c’era stata quella bella anarchica, la Maria Rygier! Che dopo l’aveva seguito
al Popolo d’Italia, poi aveva litigato. Chissà dov’era finita, quella: doveva essere
a Parigi. Bella intelligenza, bella penna, ma matta
anche lei come una cavalla. E i compagni della Sezione Monforte, a Milano, la sera della espulsione. Se ne era uscito
fra le urla, con quella frase napoleonica: “Voi ora mi odiate, perché mi avete troppo amato!” Non gliel’aveva voluta dar vinta.
Ma
anche il vecchio amico di gioventù, Torquato Nanni. Anche lui lo aveva seguito fino al
Popolo d’Italia e poi nell’interventismo. Ma alla Marcia su Roma non c’era venuto. “Sei
troppo voltagabbana, Benito. Anche tu al Quirinale, come Bissolati, anche tu andrai al
Vaticano, ti ci vedo tra un po’. Sei un opportunista borghese. Mi sai dire cosa vuoi
fare, per una volta sinceramente?” E Benito gli aveva risposto: Arpinati, Leandro, quello gli era dispiaciuto. Erano proprio amici del cuore, Benito e Leandro. Ma
Leandro aveva litigato a morte con Starace; che era un coglione, ma purtroppo al Duce
serviva. E poi aveva avuto il coraggio di sparlare di lui e dei suoi: “L’Italia
non è un feudo della famiglia Mussolini!” aveva osato dire in pubblico,
quell’a- narchico vecchio stile. A lui, che l’aveva fatto vicesegretario del partito
fascista, sottosegretario all’Interno! Prampolini, invece, lo aveva risparmiato per rispetto. Il vecchio era stato accolto dall’amico Nino
Mazzoni, l’ex deputato di Piacenza, nel suo negozio di antiquariato in via
Manzoni, a
Milano, gli faceva il contabile, tanto per guada gnare qualche soldo. Era morto quell’anno
stesso, gli aveva riferito il Questore, povero in canna. Il Questore aveva letto un
foglio, lasciato sulla scrivania, con le sue ultime volontà: “La mia salma, non vestita, avvolta in un lenzuolo, sia trasportata in forma civile, in un carro d’ultima classe, senza fiori, non seguita dai miei famigliari; venga cremata, non sepolta. Né al cimitero né altrove nessuna lapide, nessun segno che mi ricordi. “Azzident, che carattere quel vecchio”. Come
anche quel testardo di Giacomo Matteotti. Sì, lui aveva ordinato
di dargli una lezione, ma Volpi e Dumini l’avevano picchiato sulla
testa troppo forte: “Una disgrassia, ma poteva essere una disgrassia anche per me. Se l’è voluta”. Filippo
Turati era appena allora morto in esilio a Pari- gi, malinconico
vedovo dell’Anna, circondato dai resti del suo partito in esilio: Menè
Modigliani, Oddino Morgari, Nullo Baldini e tanti altri. Il Baldini che aveva
aperto la gargotta dove con l’aiuto della moglie si divertiva a far le
tagliatelle per tutti.
La
signora Anna Kulisciof s’era spenta a Milano nel 1925, Uccisa anzitempo dalla
tubercolosi e dalla artrite deformante. La sua bellezza era svanita da tempo, ma
non la sua dolcezza. Anna non aveva fatto
in tempo a seguire il suo Filippo a
Parigi. Lo scultore ex deputato Zirardini le aveva dedicato un bel bronzo,
adatto per il cimitero.
Anche
il suo amico Pietro Nenni, collega di carcere, s’era rifugiato
a Parigi, con la Carmen e la figlia Giuliana, la bambina
amica della Edda. “Bah, gli volevo bene, gli avrei mica fatto niente, a
lui. Tutta gelosia”. Costantino
Lazzari e G.M. Serrati erano andati a farsi benedire da Lenin, a Mosca. Avevano
fatto un po’ di confusione con la Terz’Internazionale, poi s’erano
rassegnati ad andare coi
comunisti. Non avevano mai capito granché: e sì che Lenin gliel’aveva
detto in tempo, che l’unico capace di far la rivoluzione in Italia era
Mussolini. Bissolati
e Bonomi erano stati, finalmente, ministri, ma per poco, durante la guerra.
Enrico Ferri, Podrecca, Bombacci, Michelino Bianchi, Ma- nusardi e tanti altri rivoluzionari, sindacalisti, anarchici, lo vevano seguito, ma non con grande successo , travolti dai giovani
fascisti:largo ai giovani! Quella del 1912 era una generazione finita. “Beh,
a me non è andata male”, mormorò sbadigliando.” Come sempre avevo ragione
io, avrebbero dovuto darmi ascolto . Domani
vado in visita alla Bonifica Pontina, andrò a deporre una corona
alla lapide dei cooperatori ravennati morti a Ostia nella prima bonifica.
C’è
scritta una frase di Andrea Costa
bellissima, che quasi sembra mia: “Bella, domani la citerò”.
|
.... | ||
Il rivoluzionario e il Re. 'Maestà, vi porto l'Italia di Vittorio Veneto'.
|
I Socialisti a Parigi (Buozzi, Faravelli, Turati, Saragat)
|